2016/07/22

1971/07/22: La terza pagina de "La Stampa" e prove di discesa dalla scaletta di "Falcon"

Dalla terza pagina del quotidiano "La Stampa". Didascalia immagine: “Capo Kennedy. L'equipaggio dell'Apollo 15: da sinistra, James Irwin, pilota del Lem, Al Worden e il comandante David Scott (Foto Neri)”. Dalla collezione personale di Gianluca Atti.


Parte lunedì la lunga missione dell'«Apollo 15»

È pronta l'auto per la Luna

A quattro settimane dalla tragedia della «Soyuz», gli astronauti resteranno tre giorni sul satellite e lo esploreranno in «jeep» - Solo questi elementi suscitano ancora l'interesse del pubblico americano, disincantato da viaggi che non sembrano più nuovi - Ma Van Allen afferma che i compiti di questo volo «sono i più rigorosi e utili di tutti» e gli esperti sostengono che si cominciano appena ad avvertire i frutti del «fall-out» tecnologico


(Dal nostro corrispondente) New York, luglio. Quattro settimane dopo la tragedia della Soyuz, l'uomo ritorna nello spazio. Lunedì, l'Apollo 15 partirà da Capo Kennedy per il quarto sbarco sulla Luna. Da Baikonur, i sovietici hanno assicurato a James Fletcher, il nuovo direttore della NASA, che non esiste pericolo di mali misteriosi; ma la morte Dobrovolskij, Volkov e Pastaev, lo scoppio del serbatoio d'ossigeno dell'Apollo 13, le défaillances - felicemente superate - dell'Apollo 14 suscitano inquietudini represse. Per la prima volta, nella fase dell'aggancio tra il modulo e la capsula nell'orbita selenica, per il ritorno a Terra, gli astronauti useranno gli scafandri.

Con "suspence"

Come nelle missioni precedenti, l'aspetto umano prevale su quello tecnico-scientifico. James Van Allen, lo scopritore delle fasce radioattive, considera i compiti dell'Apollo 15 «i più rigorosi e utili di tutti». I piloti Scott, Irwin e Worden dispongono di una strumentazione nuova, di cui l'auto lunare è l'esempio più vistoso; eccezionale è la durata dell'impresa: dodici giorni, tre dei quali sul satellite; e tuttavia l'attenzione dell'America s'accentra sugli astronauti, trascurando le ricerche e i loro risultati. Alla base di quest'atteggiamento non ci sono solo la suspence e l'ammirazione del coraggio dei tre uomini, ma anche un senso di disamore e di distacco dallo studio dello spazio. L'entusiasmo per l'ignoto s'è esaurito, e il programma, che è costato 24 miliardi di dollari, morirà l'anno prossimo nella semindifferenza, dopo gli Apollo 16 e 17. Esso lascia in eredità molte domande senza risposta. Osserva John Kenneth Galbraith che «l'America dopo la conquista della Luna minaccia di perdere l'orientamento», e aggiunge: «Il guaio è che per essa conta più il successo del progresso».

L'involuzione coincide con la ripresa dei sovietici. Accettata la sconfitta nella gara lunare, essi sono ora avvantaggiati sia nella costruzione delle stazioni orbitanti, sia nell'esplorazione dei pianeti con gli automatismi. Ha dichiarato James Fletcher: «Sospetto che i vascelli lanciati da Baikonur a giugno atterreranno su Marte, mentre il nostro Mariner vi girerà intorno». Quanto alle stazioni, nel '73 e '74 gli Americani ne improvviseranno tre coi razzi Saturno e con gli Apollo rimanenti; poi, per un triennio almeno, aspetteranno. Le loro speranze s'appuntano sulle stazioni giganti o sulla navetta di collegamento (shuttle) per il '78 - '80.

Mi ha detto il fisico Keith Bose che la situazione è simile «all'epoca delle vacche magre di Eisenhower. Appena 18 mesi fa sognavamo di installare un radio-telescopio e un centro di comunicazione laser sulla Luna, di aprirvi un laboratorio per le alte energie e una base del tipo di quelle dell'Antartico... Oggi non prevediamo neppure di tornarci. Stiamo a guardare che cosa fanno i russi». Forse la NASA non deve ancora lottare per la sua sopravvivenza, commenta amaramente il Wall Street Journal, ma «senza dubbio il suo fascino si perde nell'anonimato dei satelliti artificiali e delle sonde».


Meno affari

Il passaggio «dall'expoit alla routine», come lo chiamano i francesi, è stato imposto anzitutto dal bilancio. Gli stanziamenti dell'URSS rimangono segreti, ma Fletcher è persuaso che siano cresciuti «non foss'altro per l'importanza militare delle piattaforme in orbita»; quelli americani da 5 miliardi 900 milioni di dollari nel '65 sono calati quest'anno a 3 miliardi 200 milioni. Il personale di Houston s`è ridotto da 5000 a 4000 tecnici e scienziati, e quello delle ditte aerospaziali da 420 mila a 140 mila operai. L'equipe degli astronauti è dimiuita da 175 a 125 uomini, e persino i «boys delle V 2», i collaboratori di Von Braun trapiantati dalla Germania nell'immediato dopoguerra, sono stati licenziati. Cocoa Beach, presso Capo Kennedy, è irriconoscibile: cala il valore delle proprietà immobiliari, langue il business e la gente se ne va.

Alla sede centrale della NASA a Washington mi hanno spiegato che un ridimensionamento era inevitabile. L'economia sta tra recessione e inflazione da 2 anni, l'industria aviatoria è instabile (ha perso 50 mila tra ingegneri e dirigenti) e richiamano la precedenza i problemi urbani e dell'ambiente naturale, l'istruzione, la sanità, la lotta contro il crimine. Si calcola che un piano quinquennale per l'ecologia costerebbe 70 miliardi di dollari. «Non si può fare tutto subito» ha avvertito Richard Nixon. «L'esplorazione dello spazio» ha tuonato il senatore George McGovern «non deve diventare una scampagnata trimestrale». Sopprimendo il progetto dell'SST, il supersonico di linea, il Congresso ha dimostrato di non voler più sacrificare i programmi sociali a quelli tecnico-scientifici.

Quali ricerche?

Il malessere della NASA ha però radici più profonde. Esso s'inquadra nella crisi generale della ricerca e della sua applicazione, che ha portato l'anno scorso alle dimissioni di Thomas Paine, di Lee Dubridge e di Patrick Moiniham dagli enti governativi reponsabili. A parere dell'economista russo Meleshenko, sia l'URSS che gli USA investono il 3 per cento del prodotto nazionale lordo nel «Research and development» (e quindi i secondi il doppio della prima). Ma prima il presidente dell'Accademia delle scienze americana, Philip Handler, considera «3 cents per ogni dollaro assolutamente inadeguati».

Egli individua anche gravi difetti di struttura nella collaborazione tra l'industria, l'università, e lo Stato, pur invidiata all'estero. «Siamo i primi nella scienza e nella tecnica» sottolinea «ma per quanto ancora?». Da un lato, «il potere d'acquisto dei fondi diminuisce del 25 per cento ogni 4 anni», dall'altro «aumentano rapidamente gli scompensi settoriali. Corriamo il pericolo di restare indietro non solo nello spazio. Prendiamo l'oceanografia: le nostre navi hanno una media di 27 anni, quelle sovietiche e giapponesi sono nuove. Oppure la radioastronomia: inglesi, tedeschi e olandesi ci sono ormai superiori».

Proprio in quest'ultimo settore si riscontra una fuga di cervelli alla rovescia: i giovani scienziati americani emigrano in Europa, e non viceversa. «I cervelli» ha commentato Robert McNamara «sono come i cuori: vanno dove vengono apprezzati». Un altro campo dove si segna il passo è quello dell'impiego pacifico dell'energia atomica. Ammonisce Glenn Seaborg: «Negli Anni Sessanta abbiamo promosso la rivoluzione dei computers: non ignorate negli Anni Settanta quella degli acceleratori».

L'autocritica

Ho incontrato Myron Tribus, manager ed ex sottosegretario al Commercio. Egli afferma che il gap tecnologico tra gli altri paesi e gli Stati Uniti «è un mito. Se esistesse, non avremmo bisogno di rifugiarci nel protezionismo. La verità è che esisteva un gap manageriale, ma l'Europa e il Giappone lo hanno quasi colmato. Nel '63, quand'ero a Washington, le statistiche del mio ministero rivelarono che eravamo quarti per le scoperte scientifiche e le loro applicazioni industriali, e quinti per la manodopera specializzata. Finora siamo stati fortunati: contiamo il 6 per cento della popolazione del mondo, e usiamo il 59 per cento delle sue risorse naturali. Ma non può continuare...». Myron Tribus suggerisce interventi selettivi del governo ed esenzioni fiscali per le ditte che investono almeno il 5 per cento del fatturato per le ricerche e lo sviluppo.

Nella crisi c'è anche un elemento psicologico, spesso irrazionale. Joshua Lederberg, Premio Nobel per la genetica, e il sociologo Kenneth Bouding parlano di «disaffezione giovanile» per la scienza, e sostengono che «i sentimenti anti-militaristi nelle università investono la tecnologia. Gli studenti la giudicano schiava del Pentagono e degli interessi industriali. Essi temono che sia fine a se stessa o in funzione del prodotto lordo nazionale. Il fatto che i neolaureati debbano rassegnarsi talora a guidare tassì o pullman per guadagnarsi il pane li aliena ulteriormente. I valori tradizionali, l'etica puritana del lavoro sono messi in discussione».

Il clima di incertezza dell'America, divisa dalla guerra del Vietnam, assillata dalla droga, sorpresa dalla «diluizione di potenza», alimenta le contraddizioni. Ma queste autocondanne vanno accolte con cautela: l'America non è un paese pluralista, singolarmente incline agli esami collettivi di coscienza e ad ingigantire i propri mali. Alle battute d'arresto, in realtà, corrispondono di solito sviluppi compensativi strepitosi: per esempio, alla corsa spaziale è subentrato il boom biologico.

L'Economist ha definito quanto accade nello spazio «Una parentesi dell'evoluzione dopo un periodo di innovazione»: e non ha torto, perché la NASA e l'America necessitano di pausa e riflessione. Il fal-out della conquista della Luna è un monumento all'ingegno umano: ha contribuito alla formazione di un'industria - gli elaboratori - da 8 miliardi di dollari annui, ha gettato le basi dell'ecologia, ha rivoluzionato le comunicazioni, la navigazione e la medicina. Promette ora una facile estrazione di minerali e di cibo dal mare e dalla terra e lo sfruttamento dell'energia solare.

È impensabile che la crisi non venga superata. Le esplorazioni spaziali sono ad una svolta decisiva. Dall'età pioneristica, l'infanzia, esse entrano nella maturità; le implacabili leggi dell'economia vogliono che mirino al massimo risultato con lo sforzo minimo. Perciò si studia un motore atomico e si pensa di mandare due sonde verso Giove, nel '77 e nel '79, sfruttando le speciali posizioni dei pianeti per compiere in due anni un viaggio che ne richiederebbe normalmente trenta. Si tratta di trovare «the right balance», l'equilibrio migliore per l'umanità.
(Ennio Carretto)


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